lunedì 7 febbraio 2011

Ciò che piace all'italiano qualunque(mente)

Discussioni sul “bello” ce ne sono state molte, forse troppe, e difficilmente si giunge ad una conclusione utile ai fini della dialettica tra interlocutori diversi. Ognuno ha la sua idea, non ci si mette mai d'accordo.
Discussioni sul “piacevole”, invece, ce ne sono state poche. Questo perché viene spesso dato per scontato e tutti pensano di sapere di cosa parlano. Ma a volte ci si confonde lo stesso.
Io prendo in prestito la definizione di Kant dalla sua Critica del Giudizio per chiarire il piacevole dal punto di vista dell'estetica kantiana e dare forma ad un pensiero critico sul cinema contemporaneo:

“Di ogni rappresentazione posso dire che è almeno possibile che essa (in quanto conoscenza) sia legata ad un piacere. Di ciò che dico piacevole affermo che produce in me realmente piacere. “

La stessa definizione sembra essere scontata, ma bisogna andare ancora più in profondità per arrivare dove io ho intenzione di andare. Kant dice che a piacerci è il piacere, anticipando alcune tematiche della psicoanalisi, e che è proprio dell'uomo giudicare una rappresentazione (artistica o meno) secondo le categorie del proprio piacere. Ci piace il piacevole, sembra scontato ma non è affatto. Questa è una verità che riporta ogni giudizio alla sua radice, ogni castello costruito in aria e ogni teoria estetica è brutalmente ancorata alla dimensione del desiderare e del piacere piacevole.
Il bello è un'altra storia, non stiamo parlando di questo. Non tutto quello che ci piace è bello, ma sicuramente tutto quello che ci piace è piacevole.

Sempre per rimanere in tema di filosofia kantiana, che ha segnato profondamente il mio modo di vedere le cose, voglio dividere questa rappresentazione in forma e contenuto e dire che posso riconoscere (e generare) un contenuto piacevole ed una forma piacevole, così come un contenuto spiacevole ed una forma spiacevole.

La riflessione nella sua forma verbale è scaturita da una delle tante conversazioni in macchina con il Green e proprio con la revisione di uno dei suoi lavori (che sospetto sia stato altrettanto influenzato da quella discussione e che vi invito a seguire sul suo Blog) vorrei proseguire il discorso.



Il pregio di questi Kiwi si nasconde nella loro ambivalenza. Il contenuto è decisamente sgradevole, è una verità difficile da accettare così come le grandi rivelazioni della filosofia contemporanea, ma il tutto è racchiuso in una forma molto gradevole. Un semplice animaletto, simpatico ma bastardo, che racconta la cruda verità che molti non voglio accettare. Nichilismo col becco.
Il Green gioca sulla dicotomia forma/contenuto e sull'attenzione del fruitore della sua arte, così come da tradizione satirica e vignettistica, creando un prodotto che non sia totalmente piacevole ma neanche totalmente spiacevole, perché è proprio il contrasto che genera la riflessione e la critica.

Passando oltre e arrivando al nostro amato cinema, vorrei brevemente parlare di uno dei casi da blockbuster di questo periodo e confrontarlo con una delle pellicole più odiate del cinema italiano.

Qualunquemente di Antonio Albanese non sarà sicuramente all'altezza di Salò e le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini, ma qualcosa in comune ce l'hanno. Entrambi riflettono sulla situazione politica/sociale dell'Italia contemporanea.
Mentre Pasolini, eterno reduce del fascismo, rappresenta le orge dello strapotere di regime attraverso uno spettacolo cruento, osceno e al limite del pornografico; Albanese sviluppa una commedia sulle stesse tematiche e permette all'italiano comune di farsi una risata amara.
Gli elementi che costituiscono le due pellicole sono gli stessi, ma la loro messa in scena è ordinata secondo due forme e due tempistiche molto diverse. Questo mi porta, riprendendo il discorso kantiano, ad una conclusione decisamente “spiacevole” per l'Italia intera e per lo spettatore comune, sprovvisto di qualsiasi occhio scavatore.

Il libro non si giudica dalla copertina? Ok, è eticamente scorretto, ma è la copertina che ci da il primo impatto dell contenuto del libro, la copertina è la forma. Una copertina piacevole è un buon inizio per un piacevole libro.
L'occhio dello spettatore comune si ferma alla copertina, al pacchetto. Non gli interessa il contenuto del pacchetto.
Qualunquemente è un bel pacchetto, divertente (manco troppo), colorato e tanto tanto italiano, per dirlo alla Stanis LaRochelle, e per questo piace.
Salò inizia come un film spiacevole, prosegue come un film spiacevole e finisce in maniera sempre più spiacevole. La forma di questo film procurerebbe piacere solamente ad una mente malata, ad uno spettatore dalla personalità contorta, un voyeur, un maniaco sadico. Pasolini è al corrente di tutto questo e proprio per questo motivo ha voluto fare un film spiacevole: per vedere se l'italiano del suo tempo riusciva ad andare oltre le apparenze. Purtroppo non ci riesce e continua a non riuscirci, perché dove si parla di Salò se ne parla male.

Paradossale il fatto che l'aggettivo capolavoro possa essere attribuito ad un film spiacevole, ma è proprio questo il punto della critica, o no?