giovedì 1 ottobre 2015

The Green Inferno vs. Cannibal Holocaust: Cannibali a confronto.


Si ricomincia a scavare, dopo quattro anni. Non avrei mai dovuto smettere, ma si sa, queste cose si capiscono solo a posteriori. Magari un giorno ne parleremo, ma, per adesso, torniamo a sporcarci le mani con The Green Inferno di Eli Roth.

Chi mi conosce bene conosce anche il mio interesse per il genere horror e, specialmente, per alcuni dei filoni più particolari come il cannibal movie. Ho detto "interesse" e non "passione" non a caso. Il mio è un vero e proprio interesse scientifico, se così vogliamo definirlo, adoro questo genere di B-Movies non tanto per la trama o per gli effetti speciali, ma per comprenderne l'origine culturale ("Cosa ha portato allo sviluppo di un'intero genere cinematografico incentrato sulla figura del cannibale?"), i suoi effetti sullo spettatore e, in generale, sulla nostra società.

Non possiamo parlare del film di Eli Roth senza parlare del film di Ruggero Deodato: Cannibal Holocaust. Evitiamo la storia della tartaruga e di Barbareschi che spara al maialino e concentriamoci su cosa rappresenta questo film per il genere del cannibal movie e, per il suo rapporto con The Green Inferno.

Cannibal Holocaust, al di là di tutti gli scandali e le trovate di marketing che lo hanno reso famoso, è un gran film. Non solo ha inventato un genere, quello del found footage, ma ha utilizzato uno stile documentaristico per raccontare una storia terrificante. Deodato trae ispirazione dai maestri dell'efferatezza come il Craven de L'Ultima casa a sinistra e Hooper di Non Aprite Quella Porta che raccontano gli angoli nascosti dell'America anni '70, per raccontare la sua verità antropologica. Ancora una volta, il realismo cinematografico, talmente realistico da confondersi con la realtà, viene usato per criticare pesantemente la società e le sue malattie. Chi sono i veri cannibali per Ruggero Deodato? Sono quelli che hanno abbandonato le capanne sulle rive del Rio delle Amazzoni per costruirsi grattacieli al centro di Manhattan, sono i cannibali che campano sulle spalle degli altri e si nutrono dei cadaveri dei loro avversari. I cannibali che hanno abbandonato la jungla per poi tornarci, armati di telecamere e della loro fame e avidità.

In che modo The Green Inferno è un "remake non autorizzato" di Cannibal Holocaust?
Per il fatto che si svolge nello stesso "Inferno Verde" di Deodato? Sicuro.
Per fatto che parliamo sempre di una missione nella jungla profonda, finita molto molto male? Sicuro.
The Green Inferno è soprattutto un remake di Cannibal Holocaust perché riprende le stesse tematiche, pone le stesse domande, e le riattualizza per uno spettatore del 2015 (o 2013, quando il film sarebbe dovuto effettivamente uscire nelle sale).

La critica che fa Roth alla società contemporanea è semplice, la più semplice che si può fare: la nostra è una società costituita sulla menzogna, i suoi valori non hanno alcun fondamento perché sono falsi. La critica di Roth si muove sul duplice piano della critica sociale e antropologica, parlando dell'uomo nel suo essere fondamentalmente un essere malvagio e dell'uomo come membro della società, che utilizza questa sua innata qualità per costruire bugie su bugie e cannibalizzare il prossimo per il proprio predominio. Gli attivisti che si inoltrano nell'Inferno Verde hanno tutti un secondo fine, dal primo all'ultimo. Chi è andato solo per divertirsi, chi per amore, chi per soldi e fama, chi semplicemente per noia. Non c'è verità nel loro comportamento, non c'è impegno sociale, non c'è l'ideologia. Solo bugie.

Il film finisce con una bugia, tral'altro. La protagonista mente, inaspettatamente, fondamentalmente negando ogni avvenimento del film, dal tradimento dei valori al vero e proprio cannibalismo.

Ancora una volta, non sono solamente quelli nella jungla ad essere cannibali.