lunedì 29 marzo 2010

Strade perdute e Strade ritrovate


Nel bene o nel male, conosciamo tutti David Lynch.

Chi non ha mai sentito dire dal suo amico cinefilo di fiducia: “Ma l'ultimo film di Lynch è un capolavoro!”, oppure, “Ma l'hai visto l'ultimo film di Lynch? Secondo me neanche lui sapeva cosa voleva dire!”. Ci sono opinioni contrastanti come su ogni artista che si rispetti. Si parla di Lynch, non ci si limita a dire che un suo lavoro è “bello” o “brutto”, utilizzando categorie estetiche, per nulla adatte al lavoro della critica cinematografica, di cui spesso di abusa. Si discute, c'è sempre uno scambio di opinioni e, citando Paolo Bertetto, Lynch costringe lo spettatore ad interrogarsi su ogni singolo movimento di macchina presente nelle sequenze di uno dei suoi film. I suoi film vanno interpretati, non ti lasciano sicuramente senza nulla da dire.

Nei suoi lavori siamo abituati ad assistere alla trattazione di tematiche forti come la perdita dell'identità personale, la confusione tra veglia e sogno, la morte. Ma anche a momenti di grottesco umorismo, basti pensare a film come Wild At Heart o alla serie televisiva Twin Peaks. La commistione di questi elementi introspettivi e la tendenza all'umorismo (di scuola hitchcockiana) è una delle caratteristiche che rendono riconoscibile un film di David Lynch.

Quello che ancora mancava nell'elenco della filmografia di Lynch era un film che facesse riflettere attraverso le modalità tradizionali della riflessione filmica. Con calma e lentezza. Ed è proprio questo l'intento del regista nella pellicola del 1999 che ho intenzione di analizzare: The Straight Story [Una Storia Vera - 1999 - Walt Disney Pictures] .

Per quanto possano risultare “pesanti” i suoi film, sono comunque tutti caratterizzati da movimenti rapidi di macchina ed un montaggio all'apparenza confuso, o per meglio dire, confusionario. Prendo come sequenza emblematica quella del film Lost Highway [Strade Perdute – 1997 - October Films] dove in diverse occasioni la macchina da presa, posta su un'automobile durante una sfrenata corsa notturna, riprende l'asfalto e le linee gialle disegnate su di esso attraverso un lungo piano sequenza per dare un senso di velocità e di perdita di controllo (controllo perduto, come le strade “perdute” del titolo). Purtroppo non mi occuperò accuratamente di questo film che, a mio avviso, raggiunge un livello altissimo di produzione cinematografica, ma vedrò di dedicargli un post intero prossimamente.



Mi sono servito di Lost Highway per fornire un utile contrasto all'interno della filmografia del regista americano. In The Straight Story, girato nel '99 subito dopo il film del '97, avviene il procedimento inverso. L'anziano protagonista ritrova se stesso sulla strada, non si perde affatto. La sua identità non è molteplice o frastagliata, confusa nella frenetica vita del musicista che sospetta un tradimento dalla bellissima moglie. Alvin Straight è deciso a percorrere 317 miglia a bordo di un tagliaerba ed è sicuro della sua decisione, perchè questo è il modo in cui lui vuole compiere questo viaggio. Si è detto spesso che, in questo film, Lynch ha ridefinito il canone del “road movie”, ma non mi trovate troppo d'accordo con questa definizione. Il “road movie”, così come molti altri generi di film, possono essere frastagliati e differenti tra loro. La strada è quell'elemento imprescindibile che deve essere rispettato in maniera quasi religiosa quando si decide di girare un film del genere. Il modo in cui si approccia all'argomento, poi, è variabile. Il ritmo che si vuole dare al viaggio, la direzione e le soste lungo la strada sono decise ad arbitrio di chi dirige la macchina, non a caso, il regista è un “director”.

Non è neanche un caso che questo film sia stato girato subito dopo il film del '97. È come se il regista volesse prendere una piccola pausa di riflessione. Una vacanza dal suo stile così intenso di dirigere e trasferirsi in campagna per qualche tempo, affrontando tematiche più terrene, più comuni mantenendo comunque l'universalità dei film precedenti.

Prendendo sempre come esempio la sequenza della corsa in macchina di Lost Highway, vediamo come Alvin si rapporta alla strada, ritrovando ancora una volta lo stesso piano sequenza sull'asfalto e le strisce gialle. Il suo è un veicolo estremamente lento, il viaggio che ha intenzione di intraprendere durerà più di sei settimane con un dispendio di soldi non indifferente. Eppure Alvin è felice, poiché questo è quello che vuole di più, è in questo modo che vuole affrontare il suo ultimo viaggio. Il travaglio della strada, con le sue complessità e le sue salite (in senso materiale) permettono al nostro protagonista di confrontarsi con il passato, segnato dalla guerra, l'alcolismo e altri momenti di cui non va affatto fiero, e così purificarsi come gli indiani nel Gange, prima di raggiungere il suo obbiettivo finale: la riappacificazione con il fratello lontano (e con se stesso).

Non è un caso che, una volta giunto al termine del percorso, riuscirà a concedersi una birra gelata senza avere il timore di cadere ancora una volta nel baratro dell'alcool.



Il viaggio di Alvin è un viaggio fisico o una traversata spirituale? È entrambe le cose.

Chi non conosce bene Lynch può non sapere del suo impegno umanitario e della sua associazione collegata direttamente alla pratica della MT, la Meditazione Trascendentale, che il regista pratica da ormai molto tempo. Io, nel mio piccolo, per avvicinarmi alla mentalità e alla creatività di Lynch ho frequentato un corso, ho imparato la MT e la pratico da ormai più di un anno (con i miei alti e bassi). Non si impara a volare, come spesso ti portano a credere, non diventi invincibile come Superman, ma acquisti una grande serenità nell'animo, la stessa calma imperturbabile che ti permette di affrontare un viaggio pieno di insidie come quello di Alvin. Lo stesso viaggio che poi è la vita, giusto per rientrare a pieno nella più classica delle tradizioni in tema di viaggio.

La vita spirituale è la chiave ideale per leggere l'intero percorso di Alvin e la storia che Lynch ci narra, attraverso queste lunghe riprese di campi sterminati e questo andamento apparentemente lento.

In The Straight Story non mancano gli elementi tipici dei film del maestro del nuovo surrealismo, le piccole cittadine di periferia, le “oddities” (stranezze) che popolano l'universo di Lynch. La figura di Rose, la figlia ritardata di Alvin, e della sua triste vicenda ci ricordano il protagonista del primo film diretto da Lynch, Henry Spencer di Eraserhead.

La colonna sonora, diretta magistralmente da uno dei collaboratori fissi di Lynch, Angelo Badalamenti, riesce a creare un'atmosfera sognante ma non dark e onirica come negli altri lavori del regista, poiché sappiamo bene che in Lynch la distanza tra sogno ed incubo è molto breve.

Per riassumere, credo che sia necessaria una visione parallela dei due film di David Lynch, dove in un primo momento la strada viene perduta ed in un secondo momento viene ritrovata, proprio come nelle due opere poetiche fondamentali di John Milton (Paradise Lost – Paradise Regained). Questo parallelismo è fondamentale per comprendere il processo universale che il regista ci vuole suggerire. È facile perdere la strada, ma per ritrovarla è necessario uno sforzo, una intenzionalità (per dirla alla Husserl) che si trova solamente tramite la Meditazione Trascendentale.


2 commenti:

  1. http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2010/04/Twin-Peaks-david-linch.shtml?uuid=8f4bdb4e-4287-11df-b9b7-b20990dcd30c&DocRulesView=Libero

    Interessante articolo su David Lynch e Meditazione Trascendentale!

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  2. Ecco Una storia vera sì che è un filmone!!!
    Quando ancora Lynch non ci prendeva per i fondelli!

    ^^

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