lunedì 8 febbraio 2010

Violinisti sul tetto della storia


Sfrutto la mia momentanea fissa per la cultura ebraica e la necessità che comporta l’esame di Musical per parlarvi velocemente di un film che, anche se non ci avrei scommesso, mi ha molto colpito: “Fiddler on the Roof” [1971]

Il villaggio russo di Anatevka è abitato, da una parte, da una comunità di cristiani ortodossi, e dall’altra da un ristretto gruppo di ebrei ortodossi. Questi, come viene accennato subito nel prologo, fanno finta di non vedersi, in modo da evitare qualsiasi tipo di discussione e vivere in pace.

Durante il film ci vengono presentate, con il tono ironico dei musical, le abitudini giornaliere di ogni persona di religione ebraica: il momento del sabbath, la scelta dello sposo da parte del padre per la figlia, la figura della match maker, il matrimonio e le celebrazioni classiche della tradizione giudaica.

Quando si parla di ebraismo, e se ne parla sul serio, tralasciando gli orrori dell’olocausto e tutto ciò che questo popolo ha dovuto subire, non si può non discutere delle tradizioni, che al giorno d’oggi compongono gran parte dell’immaginario comune in materia. Cosa vuol dire Tradizione?

Ce lo spiega benissimo il saggio Tevye, protagonista del film, nella sequenza d’apertura, tramite un monologo dal sapore teatrale che rompe definitivamente la quarta parete, nel nostro caso lo schermo cinematografico, e comunica direttamente con lo spettatore, guardando in macchina e chiedendoci retoricamente il nostro parere sulle vicende della piccola comunità ebraica di cui fa parte. Al monologo segue la canzone “Tradition”, ironica e orchestrata in maniera magistrale da John Williams, che mette in musica gran parte degli elementi tradizionali ebraici-ortodossi dei primi del novecento, ponendo in risalto i rapporti tra credi differenti nella cornice del piccolo villaggio russo.

Per comprendere a pieno l’importanza della tradizione, però, è necessario specificare che la pellicola è ambientata nei primi del ‘900, durante le prime grandi mobilitazioni progressiste nella Russia zarista. Il progresso, quindi, eternamente opposto alla tradizione. Questo è l’elemento che permette l’azione all’interno del film, fosse per Tevye ed i suoi fratelli la situazione rimarrebbe sempre immutata, la vita seguirebbe la stessa routine giorno dopo giorno ed ogni cosa verrebbe fatta allo stesso modo perché è in quel modo che è stata tramandata dai padri dei padri, per cui necessariamente quello è il modo giusto di agire. Il progresso disturba la pace interna della piccola comunità ebraica e, lentamente, cerca di smantellare ogni tradizione tramite l’evoluzione tecnica (la nuova macchina da cucire), morale (le scelte delle tre figlie di Tevye opposte al volere del padre) e politica (l’esodo dal villaggio).

La vicenda, che ricorda alla lontana la novella “I Malavoglia” di Verga, getta un occhio musicale e ironico sulla tragedia di un popolo che è costretto continuamente a muoversi e spostarsi, proprio per colpa della loro incapacità di adattarsi ai mutamenti costanti del mondo. O meglio, per la volontà contraria al progresso, la volontà di mantenimento e la forte convinzione che ogni cosa accade per una ragione.

Questo ultimo anno cinematografico ha permesso a molti esponenti della cultura ebraica di esprimere il loro personale punto di vista tramite la macchina da presa. Per approfondire l’argomento consiglio due piccole perle di dark comedy: Basta che Funzioni [Whatever Works, 2009] di Woody Allen (recensito da Valerio su questo blog) e A Serious Man [A Serious Man, 2009] dei fratelli Coen, candidato a due premi Oscar.

Per comprendere meglio il fenomeno ebraismo e ciò che ne rimane in questo futuristico e progressista 2010, è necessario gettare uno sguardo indietro verso la storia della filosofia e vedere cosa ne pensano degli illustri maestri come Kant ed Hegel.

Immanuel Kant, nella sua celebre riflessione morale, riflette spesso sulla figura di Dio (quello della tradizione giudaica) e di suo Figlio Gesù tramite le parole di S. Paolo mutuate dalla cultura pietista dalla quale Kant proviene. La valenza dell’innovazione cristiana si trova indubbiamente sul piano etico, secondo il pensatore tedesco, Gesù ha rivoluzionato la moralità prettamente legislativa della Torah ponendo l’accento sulla parte razionale del nostro comportamento, introducendo il concetto di riflessione e valutazione del proprio comportamento sulla base di un dovere assoluto che non è scritto da nessuna parte, non ha oggetto, è puro dovere razionale.

L’ebraismo come ci viene descritto da Hegel nelle sue lezioni di Filosofia della Religione prende corpo nella riflessione sulla storia ed i suoi mutamenti continui. La tradizione è il primo momento della coscienza oggettivante che costituisce, come sempre, una parte di un cammino che, non a caso, viene perseguito secoli più tardi dal cristianesimo come forma di superamento. Il cristianesimo è una forma più moderna, è la storia che prosegue, è l’upgrade dell’ebraismo. Rimanere ancorati ad una tradizione vuota vuol dire smettere di creare significato e limitarsi a ricordare un significato del passato, o addirittura, ripetere in maniera meccanica delle gestualità o dei rituali che il significato lo hanno completamente perso nel tempo, come viene ironicamente detto dal Tevye durante i primi minuti del film.

Io parlo spesso di “inutilità storica dell’ebraismo”, ma ne parla molto anche Nietzsche nella Genealogia della Morale, come incapacità storica di questo popolo ad una protensione verso il futuro. Questa è una realtà. Altra cosa è parlare di “inutilità storica degli ebrei” che, come sappiamo, ha portato a bel altre conseguenze.





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