domenica 3 aprile 2011

L'invenzione della storia

Oggi mi è capitato di rispolverare un film che avevo visto pochi giorni dopo la sua uscita, nel 2009 direttamente in lingua originale, che ha piacevolmente segnato la mia vita e i miei studi. Come spesso mi accade, purtroppo, non ho avuto lo stimolo adatto per parlarne e scriverne. Dovevo metabolizzarlo, rivederlo e rifletterci bene prima di parlare di questa pellicola, per niente banale.
Dopo The Office, Extras e le numerose partecipazioni alle premiazioni televisive quali Emmys, Oscars e Golden Globes, pensavo che la mia stima per il comico britannico Ricky Gervais non sarebbe potuta crescere di più. Ecco che, dopo il fiasco di Ghost Town, Ricky stupisce il pubblico americano con questo film dalla trama kafkiana e grottesca, che permette tanto di riflettere quanto di divertisti. The invention of lying, così come un altro dei miei film preferiti, Yes Man (articolo relativo QUI), sfrutta le immense doti comiche di Gervais per ritrarre un mondo parallelo dove nessuno ha mai neanche lontanamente pensato a mentire.

Al li dà delle implicazioni comiche e delle assurde situazioni che questa premessa genera (consiglio vivamente di vedere il film perché, come sapete, io non parlerò della trama, né scriverò una recensione di questo) è importante mettersi nei panni degli abitanti di questa fetta di multiverso (termine vagamente nerd che conviene approfondire QUI) e comprendere l'importanza fondamentale che la menzogna ha comportato nell'intera storia dell'umanità.
Ovviamente, non a caso, il protagonista del film lavora come sceneggiatore per una casa di produzione cinematografica. Il cinema, come Bertetto insegna, è la finzione per eccellenza. Non riprende il vero né lo rappresenta, ma mette in scena un prodotto simulacro della realtà.
La domanda sorge quindi spontanea: come sarà possibile mettere in scena una finzione come il cinema, se non ci è consentito mentire? Come lavoreranno gli attori? Come i registi? E di cosa parleranno i film (ed i libri) se non ci è possibile inventare delle storie?
Queste sono le domande che si pone Ricky Gervais, questa volta non solo interprete ma insieme sceneggiatore e regista, e che, parallelamente (sempre a proposito di multiversi), si è posto un suo collega, decisamente più illustre, come Quentin Tarantino.

Probabilmente molti di voi avranno visto l'ultimo film di Tarantino, nominato agli Oscar di due anni fa e divenuto, come tutti i suoi film, un cult ancor prima di uscire nelle sale cinematografiche.
Anche Inglorious Basterds parte da una serie di premesse simili, ragionando sulla funzione del cinema come di una macchina inventiva talmente potente da riuscire a cambiare il corso della storia. I protagonisti del film, infatti, non solo uccidono il dittatore Adolf Hitler (proprio all'interno di un cinema, sempre per sottolineare l'importanza della settima arte) ma cambiano completamente il corso degli eventi, trionfando sul Terzo Reich in maniera totale e diversa da come viene descritta sui libri di storia e rivoltando l'esito della shoah.

Accantonando gli esempi del cinema contemporaneo e tornando a riflettere sulla teoria del cinema, ci troviamo a riconoscere tra le tante direzioni di studio e scuole di pensiero, fondamentalmente due differenti approcci al materiale filmico. Il primo, di scuola francese rappresentato dal critico e teorico Andre Bazin, interpreta il cinema come una rappresentazione della realtà e pone come massimo sviluppo e vertice artistico alcuni prodotti della Nouvelle Vague e il cinema Neo-Realista italiano del dopoguerra, con speciale attenzione per le opere di Rossellini.
Il secondo, di scuola russa e rappresentato dal noto regista e teorico Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, interpreta il cinema nella sua accezione di complesso prodotto di messa in scena, dove il montaggio e l'organizzazione del quadro sono gli elementi fondamentali. Registi come Fritz Lang (fondamentale un film come Metropolis che inventa un mondo dal nulla e lo costruisce tramite complicati effetti speciali e scenografie) fondano il loro cinema sull'artificialità del mezzo filmico.
La creatività è menzogna, non c'è niente da fare. Quando si racconta una storia, per renderla più interessante è necessario inserire degli elementi che non rispecchiano in tutto e per tutto l'andamento degli eventi. Questo avviene nel cinema.

Nel mondo rappresentato da Ricky Gervais la creatività è assente, sia nel cinema che nella televisione (segnalo un divertente esempio di pubblicità QUI) e solamente con l'introduzione della menzogna le cose iniziano a cambiare. I film diventano racconti di fiction e, proprio come avviene nel film di Tarantino, la storia stessa, che prima veniva raccontata (e non rappresentata) da attori seduti su una sedia e ripresi da una macchina da presa, prende strade diverse. Proprio come nella teoria del multiverso.
Il cinema è una macchina di significati, di finzioni e di storie. Dopo due ore non ha semplicemente pensato all'intrattenimento dello spettatore, ma lo ha coinvolto in qualcosa che spesso neanche lui arriva a comprendere.


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