domenica 18 luglio 2010

Zombie, sopravvivenza e comportamento umano


Il mito dello "Zombie" occidentale non ha più nessuna attinenza con quello del folklore Haitiano, dove per Zombie ci si riferiva a chi veniva manipolato da particolari sacerdoti che facevano cadere in stato catatonico le persone, controllandone l'anima grazie ad un rito Vudù (Wikipedia Docet); col passare degli anni infatti il mito è stato occidentalizzato ed inglobato nella nostra cultura grazie alla cinematografia in primis, ma anche a libri e videogiochi che trattavano l'argomento. Se si pensa allo Zombie si pensa al morto vivente, quello che in una notte "buia e tempestosa" esce fuori dalla sua tomba in un tetro cimitero, che cammina sbilenco con un colorito bianchiccio, brandelli di vestiti e carne penzolanti, che fa strani e a volte stupidi versi e, ovviamente, affamato insaziabilmente di carne umana. Lo stereotipo dello Zombie viene descritto nei film di George Romero, rendendo celebre quest'icona dell'horror in “La Notte dei Morti Viventi” del '68 e, 10 anni dopo, nel '78, col forse più famoso “Zombi” (Dawn of the Dead). Nonostante i suoi non furono i primi film che trattarono l'argomento, oserei dire che è proprio grazie a lui che questo fenomeno cinematografico ha preso piede, Italia compresa con i capolavori (e non) di Lucio Fulci. Dal classico Zombie poi se ne sono derivate delle varianti negli ultimi anni (a volte di infima qualità), quali ad esempio “The Mad” del 2007 dove chiunque mangiava un particolare Hamburger si trasformava in Zombie cannibale, oppure in “28 Giorni Dopo” (2002) ed il suo sequel “28 Settimane Dopo” (2007) dove i lentissimi Zombie sono rimpiazzati da malati di Rabbia che corrono come dannati e squartano come mietitrebbie.. Insomma, le trame di fondo sono le più disparate, molte volte si cerca una causa "originale" per giustificare il morbo-Zombie, ma gira che ti rigira si finisce sempre nel solito film dove un gruppo di superstiti cerca di sopravvivere mentre vengono serviti i soliti piatti a base di sangue e carneficina. Pochi sono i film che invece trattano l'argomento in modo VERAMENTE originale, cercando di mettere al di sopra del concetto sopra citato una trama ben costruita e congegnata.

Ho sempre pensato che negli Zombie-Movie ci fosse qualcosa che ci rispecchia nel profondo, mi riferisco ai sopravvissuti, ai personaggi dei film ancora sani ed alle loro meccaniche di sopravvivenza, dalle più prudenti e ponderate a quelle più violente ed istintive, riescono sempre ad attrarci ed affascinarci, perché sono sicuro che a chiunque è capitato almeno una volta di provare ad immedesimarsi ad un sopravvissuto di uno di quei film. Credo sia il fatto stesso di esser costretti a vivere in una società che non è più tale, di vedere come le convenzioni morali e sociali crollino sotto gli smembramenti di un orda di morti viventi (LoL ho fatto la rima), non ci sono più regole, si è costretti a sopravvivere scappando, nascondendosi, e se necessario combattendo ed uccidendo chi è già morto. Avresti mai pensato tu, Mario Rossi, di dover staccare la gamba di un tavolino per spaccare qualche cranio mentre cerchi di farti largo fuggendo? E Mario, dimmi, avresti mai pensato di vedere la città in cui sei cresciuto deserta, senza più macchine, con gente barcollante che cammina guardando nel vuoto tra uno schizzetto di sangue qua e là? No Mario, non credo.
Si lo so lo so, sto facendo di tutti gli zombie-movie uno stereotipo generale, soprattutto dei B-movie queste caratteristiche “classiche” si ritrovano sempre, ma è necessario per arrivare al punto chiave della questione: vi siete mai chiesti DAVVERO come vi comportereste se foste COSTRETTI ad affrontare tutto questo?
Perché molto spesso capita pensare “Ma guarda quello che bastardo, poteva aiutarla!” oppure “Ma perché è andato lì?! Idiota ora ci finisce secco!” o ancora “Io non riuscirei a sparargli..” e così via; io credo che nessuno di noi può giudicare davvero le azioni e le decisioni di questi personaggi, perché si trovano davvero in una situazione del tutto particolare, certamente impossibile nella realtà, ma comunque assurda, impensabile, che travolge inaspettatamente senza dare il tempo di rendersi conto.E appunto per questo mi chiedo, sono tanto fuori dal mondo certi comportamenti? L’umanità e la compassione rimarrebbero immutati negli animi delle persone? La sopravvivenza porterebbe una tranquilla casalinga a sparare in fronte ad uno Zombie? Si acquisterebbe la freddezza e la lucidità per fare ciò che è necessario per sopravvivere?
Io ho notato che, a parte il classico gruppo di sopravvissuti che va girovagando in cerca di un rifugio o un classico supermercato, possiamo distinguere 2 tipi di sbalzi comportamentali: lo Squilibrato e l’Illuso.
Mi spiego meglio: Lo Squilibrato è colui che rendendosi conto della situazione che ormai si è creata, la sfrutta, coglie la palla al balzo per liberarsi una volta per tutte delle convenzioni morali a cui si è sottoposti normalmente, e a mio modesto parere lo Squilibrato è colui che cercherà il Divertimento in una situazione del genere. Certo, la priorità è sopravvivere, ma come dimenticare il gruppo di motociclisti che razzia e uccide divertendosi in "Zombi"? Oppure i cecchini in "Day of the Dead" che si divertono a sparare a determinati morti viventi semplicemente per “ammazzare” il tempo? Alla fine lo Squilibrato può far suo un mondo che prima non lo era, può liberare ogni suo desiderio e, perché no, frustrazione repressa: le case son da razziare perché ormai desolate, le strade sono libere e quindi percorribili nel modo che si vuole, i negozi sono di libero accesso, idem per le armi, e si ha la possibilità di UCCIDERE, istinto che dell’uomo ha sempre fatto parte ma che, per fortuna, raramente viene fuori in questa società. Ma la società non è più la stessa, il mondo è cambiato e ormai ognuno è guidato dal suo libero arbitrio.
L’Illuso invece è quel personaggio che nonostante l’essersi reso conto che la piaga e gli zombie dilagano, cerca di mantenere una calma anormale, s’illude che la situazione è sotto controllo, magari barricandosi in casa, e cercando di vivere nel modo più normale possibile, nell’illusione che la minaccia “Esterna” non potrà mai intaccare le solide assi inchiodate sulla porta.Attenzione perché l’illuso purtroppo è portato a vivere così, molto spesso dal tempo che passa e dall’impossibilità di cambiare le cose, si ricordi in "28 Settimane Dopo", ad inizio film, il gruppo di rifugiati nella casa che ormai cercavano di sopravvivere nel modo più “Normale” possibile, oppure in "28 Giorni Dopo" ancor meglio, il Padre e la Figlia che vivevano barricati all’ultimo piano del palazzo.Il problema è che difficilmente la figura dell’Illuso sopravvive, se non c’è qualcosa che intacchi l’alone di “Normalità” che si è creato intorno a se stesso, infatti riferendomi ai 2 film appena citati, nel primo finirà male dato l’improvviso assalto di Zombie-Rabbiosi, e nel secondo invece riusciranno a scamparla, grazie al fatto che i protagonisti riescono a mettersi in contatto con padre e figlia, i quali tappati nella loro casa erano costretti a vivere quasi nella norma, in attesa di qualcuno o qualcosa che gli facesse cambiare quel malsano status quo.
Quindi ormai in un mondo così diverso è difficile trovare anche qualcosa di Normale o Giusto nei comportamenti che acquistano i sopravvissuti.. E’ vero che questi cercano di trovare una soluzione momentanea per trarre in salvo la loro vita, ma è anche vero che durante questa ricerca e questo percorso sono costretti a fare cose indicibili se considerati nella loro vita precedente, dove il mondo non conosceva la piaga degli Zombie. Quindi, per concludere, quali sono alla fine gli istinti reali? Quali i comportamenti giusti da attuare? Non basta aiutarsi e aiutare chi ne ha bisogno. Gli Zombie sono bastardi, ti costringono in situazioni in cui è necessario prendere decisioni “sbagliate” ma FORSE giuste in quel momento, ti costringono a uccidere, è inevitabile.
Sinceramente non mi meraviglierei a vedere che un nostro amico che normalmente è mite e riservato possa diventare un maniaco assassino, o al contrario che un amico a cui non daresti tanto credito potrebbe alla fine salvarti la vita in situazioni pericolose. La risposta possiamo averla solo vivendo una situazione del genere, ma ovviamente è impossibile, quindi chissà.. Rimarremo col dubbio di come potremmo “trasformarci” in un mondo invaso da morti che camminano, magari in uno di loro.. Chissà..

Il Trailer postato qui sotto è di uno dei film che, a mio modesto parere, tratta nel modo più divertente il tema degli Zombie, dissacrandoli completamente, e no, non è "L'Alba dei Morti Dementi" ma "Fido" dove dopo anni di guerre contro i non morti, uno scienziato inventa un collare che trasforma gli Zombie in pacifiche creature adatte ai lavori più comuni di casa, rendendoli praticamente delle Colf. Da vedere :)



venerdì 16 luglio 2010

Ancora alieni e ancora alienazioni


Lo avevo promesso, non ho avuto troppo tempo per farlo prima ma, per una fortunata coincidenza, ho acquistato il Dvd di questo film a pochi spicci ad un mercatino e mi sono convinto a parlarne in modo adeguato.

É cosa risaputa che gli Oscar ti fanno “rosicare”. A meno che tu non sia un fanatico del mainstream (e spesso neanche quello ti salva) oppure un pecorella cinematografica, il tuo film favorito non vincerà mai la statuetta dorata. Nel mio caso, ancora più radicale da alcuni punti di vista, ho sempre visto perdere miserabilmente le pellicole che più avevo apprezzato nel corso dell'annata cinematografica. Spesso alcuni film non ci sono neanche mai arrivati agli Oscar. Ma va bene.
Quest’anno il panorama degli Accademy Awards ci prospettava una sfida molto interessante, forse troppi film meritevoli in concorso, per motivazioni disparate.

Il colosso della tecnologia con gli alieni blu, il film della regista donna impegnata politicamente, la ribalta delle minoranze aliene in Sudafrica, il “capolavoro” di Tarantino, una scabrosa passeggiata nei bassifondi della cultura afro-americana negli USA, ribalta di attori sfigati ed il blockbuster lacrimone della Pixar. Non si direbbe, ma sono tutti film che ho molto apprezzato!
Io però punto sempre sul cavallo zoppo, è una delle mie caratteristiche, e quest'anno è toccato al caro e bistrattato: District 9.


 Avevo pensato di parlare di questo film, confrontandolo con la sua “nemesi” Avatar, ma sarebbe troppo riduttivo, per cui dedicherò solo poche righe a questo argomento.
La prima impressione che ho avuto di District 9 è stata “Wow, se Cronenberg avesse letto la sceneggiatura di Avatar, ne avrebbe tratto queste conclusioni!”. I due film hanno molto in comune, ma sviluppano le stesse tematiche in maniera molto differente.
Il discorso di Cameron rimane collocato all'interno dell'estetica della perfezione mentre questa produzione indipendente scende in profondità e non si lascia accecare dalla possibilità di un lieto fine hollywoodiano. Mi spiego meglio.

Entrambi i protagonisti del film si muovono (uno liberamente, l'altro coattivamente) tra l'umano ed il sovrumano. Il soldato che sfrutta le nuove tecnologie per perfezionarsi tramite il suo gigantesco avatar alieno si trova nella stessa posizione del povero impiegato che muta, ora dopo ora, dalla sua condizione di umano a quella di “fuckin' prawn”. Entrambi acquistano una diversa consapevolezza della propria condizione, si trovano a rivalutare le istituzioni che hanno supportato fino a poco tempo prima, le stesse che li hanno traditi e tentano di sopraffare la popolazione aliena. Razzismo, in pratica.
Il protagonista di Avatar vuole cambiare corpo, o meglio, vuole perfezionare il proprio corpo difettoso. In D9, invece, il protagonista viene derubato della sua condizione di soddisfazione (lavorativa, familiare e psicologica) per fare fronte ad un cambiamento sociale che coinvolge. L'integrazione razziale diviene integrazione corporea, fisica e patologica dell'individuo e diviene parte della razza aliena.

Perché ho pensato a David Cronenberg? Lui è il regista del “corpo” per eccellenza e District 9 è un film molto “fisico”. Come in “La Mosca”, il protagonista subisce una metamorfosi che viene rappresentata in maniera eccellente dall'apparato di effetti speciali della pellicola.
Questa metamorfosi, però, nel caso di D9 non è solamente fisica ma, come abbiamo accennato, sociologica. Wikus (Sharlto Copley), proprio perché rappresenta la diplomazia terrestre è costretto a “mettersi nei panni” degli alieni e quindi si immedesima nei problemi della loro razza. Ancora una volta, queste sono tematiche che vediamo trattate in Avatar (la stessa sequenza finale di lotta tra Wikus ed il cattivone di turno è molto simile all'epilogo di Avatar, data la presenza dei mecha robotici in entrambi gli scontri) ma il film di Cameron è meno attento alle dinamiche sociali e più intento alla creazione di una realtà parallela e fantastica dove lo spettatore possa vivere e dimenticare i propri problemi (non risolverli).


Ora, scaviamo un pochino nel territorio di District9 traendo qualche conclusione dai suoi elementi costitutivi.
Il film è innegabilmente un particolare sci-fi movie. Nonostante non si mantenga sulle tematiche dell'invasione aliena, proprie del genere, che sia pacifica o bellicosa. Infatti, gli alieni di D9 sembrano più dei naufraghi. La sequenza iniziale dove la spedizione terrestre esplora l'interno della mothership che si staglia sopra Johannesburg ci ricorda un ipotetico servizio del telegiornale con titolo “un nuovo sbarco di profughi a Lampedusa”. Non abbiamo l'immagine canonica degli alieni sviluppati tecnologicamente che scendono trionfanti dalla nave proclamando “veniamo in pace”, non sono Visitors. Non hanno neanche l'aspetto grottesco dei cervelloni di Mars Attack, però! Per essere degli alieni, sono molto umani.
Nessuno ci spiega il motivo della loro venuta, sappiamo solamente che è necessario convivere con questa popolazione estranea alla nostra cultura e ai nostri costumi. La situazione ci è molto familiare, basti pensare al problema dell'immigrazione che ha occupato le prime pagine dei quotidiani mondiali da un secolo a questa parte. Per farla breve, i profughi intergalattici sono qui per restare e noi dobbiamo abituarci a questa situazione.

Questo mi porta a sviluppare una considerazione sulla forma.
Il film District9 non è altro che la fenomenologia di un tentativo di risoluzione di una problematica sociale, ossia quella dell'immigrazione. Il fatto che sia ambientato in Sudafrica non ci deve fare pensare ai Mondiali 2010 ma ad un problema, forse più oscurato che sottolineato da questo evento, come l'Apartheid. La pellicola ricalca una situazione storica del passato, la segregazione dei neri in Sudafrica, riproponendo il tutto grazie alla magia del cinema, seguendo la grandiosa intuizione di Tarantino nel suo ultimo film “Inglorious Basterds”. Ci è possibile cambiare la storia, anche solamente con il potere dell'immaginazione, e dare un esito differente ad un evento drammatico che ci ha colpiti nel profondo.
Il Sudafrica ha una “seconda chance” per rimediare agli errori del passato, invece incappa nella stessa identica problematica senza trovarne una soluzione.
La questione del “Distretto 9” come ghetto per rinchiudere le forme aliene non è la soluzione, questa forma di segregazione, come ci mostra il film, non è altro che un ricettacolo di violenza, criminalità e odio. La vera soluzione a questo problema è quella che, indirettamente, fornisce Wikus.

Il filosofo Leibniz ed, in seguito, Kant, ci parlano di una sensibilità che gli uomini hanno in comune. Il primo discute di questa facoltà espressamente per risolvere problematiche, il secondo affronta il tema nella Critica della facoltà di Giudizio per giustificare la comunicabilità dello stato d'animo di ogni persona. Entrami sono d'accordo su un passaggio: è necessario mettersi al posto dell'altro, sentire ciò che sente l'altro e partecipare del dolore altrui per comprenderlo nel migliore dei modi.
Wikus diventa alieno, si aliena (come direbbe Feuerbach) da se, muta il proprio corpo radicalmente, tanto che, nel finale della sua vicenda personale, preferisce mettere al primo posto la salvezza di quello che è ormai divenuto il suo popolo, piuttosto che curarsi da questa condizione che lo affligge.
Nella fenomenologia dell'immigrazione, Wikus ha saputo comprendere al meglio la situazione, cosa che prima della metamorfosi non era riuscito a fare, ed ha agito concretamente per risolverla. Wikus è il simbolo dell'integrazione razziale e District 9 ne racconta la storia.
Niente amore, niente alieni blu e niente lieto fine. Specialmente per Wikus.